sabato 3 novembre 2007

Vendola: bisogna tenere i nervi saldi

«Uno scorcio degradato di periferia. L'esercizio dell'onnipotenza maschile sul corpo di una donna. La considerazione di una vita come di un fagotto da buttare. La denuncia che viene dall'interno di quella stessa condizione considerata in sé criminale. Da parte di una donna». Presidente della Puglia, da molti indicato come un prossimo leader della sinistra, prima di rispondere Nichi Vendola vuole rivedere la scena del delitto. Ricostruire, dice, il quadro sintomatologico della malattia per fare la diagnosi.
Gli elementi cosa mostrano?
Un fatto complesso su cui i media e il dibattito politico compiono le loro manipolazioni. Selezionano l'evento dell'aggressione, mettono ombra sulla denuncia.
E sul degrado di periferia.
Che diventa un oggetto da contesa elettorale, come se in tutta Europa non fosse una delle principali questioni sociali. Dalle banlieue parigine alla sterminata e sterminante periferia del sud d'Italia, abbiamo condizioni strutturali di insicurezza sociale e di insicurezza per i cittadini. Ecco la bandiera che dovrebbe prendere in mano la sinistra. Non basta denunciare la deriva securitaria. La prima grande risposta è la riqualificazione delle periferie. Sono una condizione urbana senza comunità. Carenza di illuminazione, di trasporti, di servizi, una concentrazione di vecchie e nuove povertà. Un'immensa criminogena discarica sociale. O si immagina di recintarle, oppure si affronta il tema della riqualificazione, qualcosa che nel dibattito europeo assomiglia a quello sui centri storici con i piani Urban. Poi c'è una specie di periferia inglobata nel centro. Penso alla crisi delle agenzie formative, scuola, famiglia, ai fenomeni del bullismo adolescenziale trasversali alle appartenenze sociali. Tutto questo pone il tema se la legalità è solo legge e ordine, o non ricostruzione dell'idea di civiltà.
Il pacchetto sicurezza ha qualcosa a che vedere con questo discorso?
Non avendo contrastato culturalmente il terreno della insicurezza percepita, avendo imprigionato la nostra percezione della realtà dentro il circuito delle tv, è difficile immaginare che il governo possa rispondere dicendo 'questi fatti sono gravi ma non possiamo reagire'. La richiesta di una reazione è maggioritaria nell'opinione pubblica, il problema è come governiamo questo sentimento, per non cedere alla cultura della xenofobia e dell'intolleranza
Ma il pacchetto è efficace?
Vorrei conoscerlo meglio. Alcune cose mi convincono, altre no. Non posso non pormi il problema di un minore costretto dal suo clan a rubare e a elemosinare.
Fra il caso dello stupratore e lo stralcio d'urgenza votato dal governo non c'è nesso. Per arrestarlo e giudicarlo bastano le leggi 'normali'.
Lo stralcio non è una riposta al fatto accaduto, è una risposta a Porta a Porta, alla volgare strumentalizzazione dela destra.
Secondo Veltroni, Berlusconi e Prodi hanno sbagliato a non limitare gli ingressi di rumeni e bulgari. E' d'accordo?
E' chiaro che dalle aree più deboli si è scaraventata una massa di esseri umani verso le aree che appaiono più forti. E in tutti i fenomeni migratori una porzione residua è composta da segmenti di marginalità e criminalità. Il problema è come si isolano e come si consente a tutti gli altri di radicarsi. Ci sono comunità straniere che hanno una storia antica di presenza e integrazione. E' rarissimo, per esempio, ascoltare notizie di cronaca nera che riguardano i filippini. Del resto la percentuale di stranieri regolari che delinquono è molto inferiore a quella degli italiani che delinquono.
Poi ci sono gli stereotipi. Oggi, a Roma in particolare, va il rumeno.
Prima c'era lo stupratore magrebino, poi l'albanese, ora i rumeni. Non c'è alcun dubbio che, durante i regimi all'Est, la Romania era un buco nero, un deposito di miseria materiale e morale. Oggi la sua crescita è anche un problema nostro. Ma la logica delle barriere non funziona. Sposta il problema sul terreno della clandestinità. Bisogna rendere le comunità straniere protagoniste della costruzione della sicurezza, farle entrare in pieno nell'area della cittadinanza. Guardo invece con cautela ma interesse la proposta della banca del Dna. Il problema dell'identificazione c'è, esiste. Ci sono problemi che a sinistra non possiamo non porci. Non basta denunciare la deriva securitaria, e i grandi poteri criminali, che non sono certo al primo posto nella consapevolezza della politica. Bisogna anche affrontare nel merito i problemi.
La sinistra a volte non lo fa?
Non possiamo apparire quelli che rinviano sempre a una questione più generale. La forza della destra è che stiamo entrando nella società della paura, una paura che si regge sulla precarietà. Del lavoro, del vivere urbano e del futuro. E' una nuova condizione antropologica. E ciascuno si sente solo e fragile di fronte a chi gli dà un po' di cottimo, in una condizione urbana che lo minaccia continuamente. La costruzione della sinistra nelle periferie ha un senso se è uno strumento per rimettere in piedi pezzi di comunità. Dobbiamo essere capaci di muoverci tatticamente mentre ci diamo respiro strategico. E' una partita difficilissima. A palazzo Chigi io mi sarei comportato come i ministri della sinistra.
Voterebbe a favore del pacchetto sicurezza?
Cercherei di migliorarlo, ma alla fine voterei a favore, perché ha alcune cose buone. Alcune no, ma è una partita di lungo periodo. Intanto costruisco un cammino. Non rischierei di essere solo posizionato ideologicamente.
Il giornale del Prc si è posto in prima pagina la domanda delle domande: perché restiamo in questo governo. Perché, secondo lei?
Perché penso sia importante restarci. Potrei fare l'elenco delle cose buone fatte. Ma il vero problema è tenere i nervi saldi. Abbiamo bisogno di tempo, c'è da risalire una china in termini culturali prima che politici, anziché consegnarci a una sconfitta con effetti di moltiplicazione, che scaverebbe in profondità nelle viscere della società italiana.
Intervista di Daniela Preziosi
Fonte: il manifesto

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