
intercettazioni telefoniche
per dimostrare che nel sistema dell'informazione della televisione pubblica (e non solo) c'è stato e continua ad esserci qualcosa che non va?Come un torrente carsico che esce dalle viscere della terra e straripa a valle per inondare tutto quello che incontra sul suo cammino, ecco che irrompono sullo scenario della politica italiana in grande ebollizione le inquietanti intercettazioni telefoniche, che testimonierebbero quanto da anni andiamo dicendo: esiste un'anomalia tutta italiana nel sistema dei media, incancrenita dal conflitto d'interessi non risolto di Berlusconi e dall'occupazione "manu militari" della RAI, al tempo del suo governo affaristico.
Oggi tutti gridano allo scandalo, ma ieri e fino a pochi giorni fa la crisi della RAI e del suo vecchio modello produttivo e gestionale, che ne avevano fatto una sorta di Minotauro, chiamato "Raiset", erano visti come problemi ineluttabili, da risolvere con le vecchie regole: la legge Gasparri per cambiare tutto o in parte il CDA; le vie legali dei Tribunali amministrativi; le trattative più o meno riservate per cambiare qua e là qualche pedina all'interno dell'azienda di Viale Mazzini.
Ora i giochi si fanno alla luce del sole, finalmente! Tutti i protagonisti in campo chiedono di cambiare drasticamente questo "andazzo": il centrosinistra unito, ora disposto a mettere sulla bilancia delle riforme istituzionali anche il futuro della RAI; una parte riottosa del centrodestra in frantumi; i membri più avveduti del CDA (Rizzo Nervo, Curzi e Rognoni); i sindacati interni, USIGRAI per i giornalisti, ADRAI per i dirigenti. Meglio tardi che mai!
Aspettavamo, infatti, da almeno 18 mesi anche le parole sacrosante del Presidente del Consiglio Prodi sull'ineluttabilità di modificare il sistema della comunicazione radiotelevisiva e di riformare la RAI, per allontanarla dai "lacci e laccioli" dei partiti e dei governi. Un'attesa tanto "messianica", da far tirare un grosso sospiro di sollievo a quanti nell'elettorato, nella pubblica opinione più attenta e tra i movimenti come Articolo 21, aspettavano questo segnale politico già durante la campagna elettorale per le politiche del 2006.
E' vero: "Bisogna fare dell'Italia una democrazia normale" -ha auspicato Prodi- legando per la prima volta in maniera chiara e definitiva il progetto di riforme istituzionali con il cambiamento del sistema mediatico, che in ogni Paese con forti basi liberali viene considerato un anello inscindibile per la tenuta del sistema democratico ed una garanzia sostanziale per il corretto svolgimento della lotta politica sia durante che dopo le campagne elettorali".
Ecco, l'Italia è invece un'anomalia nel panorama europeo ed occidentale maggiormente sviluppato.
"Il monopolio mediatico di Silvio Berlusconi è un pericolo per la democrazia e di conseguenza deve essere corretto dalla legge, che non deve punire nessuno e che migliorerà la situazione almeno in parte", ha aggiunto Prodi. Ma visto "lo strapotere mediatico di Berlusconi" (sono sempre parole di Prodi) e l'atteggiamento ostruzionistico (ben 1.280 emendamenti dei 1400 sono stati presentati al Senato da Forza Italia, più che per la Finanziaria!) sulla proposta di riforma Gentiloni, infatti, sarà un'opera ardua per la maggioranza di centro-sinistra riuscire a condurre in porto un obiettivo del genere in tempi stretti.
Ora l'emergenza-intercettazioni forse servirà da traino (come nei palinsesti TV!) perché tutto si acceleri. "Occorre una riunione della maggioranza per prendere atto che o si affronta il conflitto di interessi e della riforma della Rai, cercando interlocutori anche nel centrodestra, o questo tipo di situazioni sono destinate a riprodursi. Questa metastasi va rimossa". Ha detto chiesto Giuseppe Giulietti, esponente del PD in Commissione di Vigilanza, che da mesi va ripetendo quasi inascoltato la necessità di mettere subito mano alla riforma dell'intero sistema radiotelevisivo e di riformare la RAI. "Dalle intercettazioni - ha aggiunto - emerge uno spaccato del sistema televisivo italiano, dell'esistenza di gruppi trasversali che hanno assunto il dominio, del fatto che Mediaset e Rai per un determinato periodo sono state un'unica azienda, e del fatto che informazioni riservate della Rai venissero passate a Mediaset. Non c'era bisogno di intercettazioni, per sapere che venivano fatte leggi su misura e per sapere che la Rai aveva il freno tirato. Come Articolo21 lo abbiamo denunciato da tempo, e in molti anche nel centro sinistra hanno sorriso. Ora però non ci si può limitare a deprecare. In primo luogo la Rai deve nelle prossime ore dire che cosa intende fare. Le Autorità di garanzia devono acquisire la documentazione su accordi di cartello visibili ad occhio nudo".
Gli fa eco Gloria Buffo, della Sinistra Democratica, anche lei membro della Commissione di Vigilanza: "Quello che emerge dalle intercettazioni sui Rai e Mediaset è un Watergate. In un paese normale il Presidente del Consiglio non può avere le tv, non può occupare l'informazione pubblica, non può cancellare il pluralismo. In una parola: non può mettere la mani sulla democrazia". Insiste la Buffo: "In un paese sano, se i dirigenti e i conduttori della tv pubblica spacciano informazione avariata ai cittadini, vengono immediatamente allontanati". Per queste ragioni, "mentre la magistratura fa il proprio lavoro, bisogna che la Rai prenda provvedimenti adeguati alla gravità del caso. E il centrosinistra, se non vuol perdere la faccia, metta al centro dell'azione legislativa subito il conflitto d'interessi e la riforma del sistema radiotelevisivo, perché non c'è più tempo, anzi è già palesemente tardi".
Anche il leader del nuovo PD, Walter Veltroni, che nei mesi scorsi aveva proposto di allontanare i partiti dalla "stanza dei bottoni" della RAI e di dotarla di un amministratore unico, ora si mostra allarmato: "Quanto è emerso è di una enorme gravità: un intreccio e una commistione nei quali il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo è stato calpestato, insieme a comportamenti in contrasto con i principi della libera concorrenza, del mercato e coi doveri che sono propri del servizio pubblico. Questa vicenda conferma, inoltre, la necessità di un nuovo assetto del sistema radiotelevisivo e della Rai. E' una delle cose più urgenti che devono essere affrontate. Da parte mia ho avanzato idee e proposte che mirano ad allontanare la Rai dai partiti, a dare all'azienda quella autonomia e quella capacità di lavorare che le competono e che sono indispensabili al Paese".
Tutti oggi si dicono d'accordo a fare pulizia interna nei piani alti e medi di Viale Mazzini, di rompere quell'intreccio perverso che si era incrostato come un cancro, a partire dal 2002 e fino al 2006, con alterne vicende, ma chi e quando renderà conto ai tanti "uomini e donne della RAI", funzionari, dirigenti, giornalisti, autori emarginati, inquisiti, relegati in un "purgatorio" spesso ai limiti del mobbing? Quando gli attuali vertici, tuttora legittimi nonostante i proclami roboanti del centrodestra aziendale, berlusconiano, sentiranno il dovere, la necessità di consultare quelle centinaia di professionista per ridare loro un ruolo e un futuro che nel passato si identificava con le sorti stesse dell'azienda?
Insieme a quest'opera di risarcimento morale, e non solo, tutto il centrosinistra dovrà porre mano alle leggi di riforma ormai non più rinviabili, come quella per la RAI, il sistema complessivo dei media e il conflitto di interessi. Altrimenti, il rischio è che dopo "l'intesa segreta" che ha consegnato l'Italia della comunicazione per quattro lunghi anni a Berlusconi, con la mostruosa creatura "Raiset", continueremo ad assistere ad una oppressione mediatica guidata dalla stessa regia, che vorrebbe far credere all'opinione pubblica che l'Italia è il peggiore dei mondi possibili, dove esistono "vampiri vestiti da fiamme gialle" che succhiano tasse ovunque, la povertà generalizzata è ormai alle porte, che l'insicurezza personale è minacciata ogni giorno ad ogni angolo della strada dalla presenza di una piccola e laboriosa comunità di immigrati dalla ferocia inarrestabile. E che il sistema politico è minacciato dagli "estremisti rossi di sinistra", oltre che "dai politicanti parrucconi"!
Cambiare il sistema dei media, invece, significa appunto questo: diventare un paese democratico maturo, senza conflitti di interessi e con un servizio pubblico libero, autonomo, trasparente e "voce di tutti gli italiani".
Oggi tutti gridano allo scandalo, ma ieri e fino a pochi giorni fa la crisi della RAI e del suo vecchio modello produttivo e gestionale, che ne avevano fatto una sorta di Minotauro, chiamato "Raiset", erano visti come problemi ineluttabili, da risolvere con le vecchie regole: la legge Gasparri per cambiare tutto o in parte il CDA; le vie legali dei Tribunali amministrativi; le trattative più o meno riservate per cambiare qua e là qualche pedina all'interno dell'azienda di Viale Mazzini.
Ora i giochi si fanno alla luce del sole, finalmente! Tutti i protagonisti in campo chiedono di cambiare drasticamente questo "andazzo": il centrosinistra unito, ora disposto a mettere sulla bilancia delle riforme istituzionali anche il futuro della RAI; una parte riottosa del centrodestra in frantumi; i membri più avveduti del CDA (Rizzo Nervo, Curzi e Rognoni); i sindacati interni, USIGRAI per i giornalisti, ADRAI per i dirigenti. Meglio tardi che mai!
Aspettavamo, infatti, da almeno 18 mesi anche le parole sacrosante del Presidente del Consiglio Prodi sull'ineluttabilità di modificare il sistema della comunicazione radiotelevisiva e di riformare la RAI, per allontanarla dai "lacci e laccioli" dei partiti e dei governi. Un'attesa tanto "messianica", da far tirare un grosso sospiro di sollievo a quanti nell'elettorato, nella pubblica opinione più attenta e tra i movimenti come Articolo 21, aspettavano questo segnale politico già durante la campagna elettorale per le politiche del 2006.
E' vero: "Bisogna fare dell'Italia una democrazia normale" -ha auspicato Prodi- legando per la prima volta in maniera chiara e definitiva il progetto di riforme istituzionali con il cambiamento del sistema mediatico, che in ogni Paese con forti basi liberali viene considerato un anello inscindibile per la tenuta del sistema democratico ed una garanzia sostanziale per il corretto svolgimento della lotta politica sia durante che dopo le campagne elettorali".
Ecco, l'Italia è invece un'anomalia nel panorama europeo ed occidentale maggiormente sviluppato.
"Il monopolio mediatico di Silvio Berlusconi è un pericolo per la democrazia e di conseguenza deve essere corretto dalla legge, che non deve punire nessuno e che migliorerà la situazione almeno in parte", ha aggiunto Prodi. Ma visto "lo strapotere mediatico di Berlusconi" (sono sempre parole di Prodi) e l'atteggiamento ostruzionistico (ben 1.280 emendamenti dei 1400 sono stati presentati al Senato da Forza Italia, più che per la Finanziaria!) sulla proposta di riforma Gentiloni, infatti, sarà un'opera ardua per la maggioranza di centro-sinistra riuscire a condurre in porto un obiettivo del genere in tempi stretti.
Ora l'emergenza-intercettazioni forse servirà da traino (come nei palinsesti TV!) perché tutto si acceleri. "Occorre una riunione della maggioranza per prendere atto che o si affronta il conflitto di interessi e della riforma della Rai, cercando interlocutori anche nel centrodestra, o questo tipo di situazioni sono destinate a riprodursi. Questa metastasi va rimossa". Ha detto chiesto Giuseppe Giulietti, esponente del PD in Commissione di Vigilanza, che da mesi va ripetendo quasi inascoltato la necessità di mettere subito mano alla riforma dell'intero sistema radiotelevisivo e di riformare la RAI. "Dalle intercettazioni - ha aggiunto - emerge uno spaccato del sistema televisivo italiano, dell'esistenza di gruppi trasversali che hanno assunto il dominio, del fatto che Mediaset e Rai per un determinato periodo sono state un'unica azienda, e del fatto che informazioni riservate della Rai venissero passate a Mediaset. Non c'era bisogno di intercettazioni, per sapere che venivano fatte leggi su misura e per sapere che la Rai aveva il freno tirato. Come Articolo21 lo abbiamo denunciato da tempo, e in molti anche nel centro sinistra hanno sorriso. Ora però non ci si può limitare a deprecare. In primo luogo la Rai deve nelle prossime ore dire che cosa intende fare. Le Autorità di garanzia devono acquisire la documentazione su accordi di cartello visibili ad occhio nudo".
Gli fa eco Gloria Buffo, della Sinistra Democratica, anche lei membro della Commissione di Vigilanza: "Quello che emerge dalle intercettazioni sui Rai e Mediaset è un Watergate. In un paese normale il Presidente del Consiglio non può avere le tv, non può occupare l'informazione pubblica, non può cancellare il pluralismo. In una parola: non può mettere la mani sulla democrazia". Insiste la Buffo: "In un paese sano, se i dirigenti e i conduttori della tv pubblica spacciano informazione avariata ai cittadini, vengono immediatamente allontanati". Per queste ragioni, "mentre la magistratura fa il proprio lavoro, bisogna che la Rai prenda provvedimenti adeguati alla gravità del caso. E il centrosinistra, se non vuol perdere la faccia, metta al centro dell'azione legislativa subito il conflitto d'interessi e la riforma del sistema radiotelevisivo, perché non c'è più tempo, anzi è già palesemente tardi".
Anche il leader del nuovo PD, Walter Veltroni, che nei mesi scorsi aveva proposto di allontanare i partiti dalla "stanza dei bottoni" della RAI e di dotarla di un amministratore unico, ora si mostra allarmato: "Quanto è emerso è di una enorme gravità: un intreccio e una commistione nei quali il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo è stato calpestato, insieme a comportamenti in contrasto con i principi della libera concorrenza, del mercato e coi doveri che sono propri del servizio pubblico. Questa vicenda conferma, inoltre, la necessità di un nuovo assetto del sistema radiotelevisivo e della Rai. E' una delle cose più urgenti che devono essere affrontate. Da parte mia ho avanzato idee e proposte che mirano ad allontanare la Rai dai partiti, a dare all'azienda quella autonomia e quella capacità di lavorare che le competono e che sono indispensabili al Paese".
Tutti oggi si dicono d'accordo a fare pulizia interna nei piani alti e medi di Viale Mazzini, di rompere quell'intreccio perverso che si era incrostato come un cancro, a partire dal 2002 e fino al 2006, con alterne vicende, ma chi e quando renderà conto ai tanti "uomini e donne della RAI", funzionari, dirigenti, giornalisti, autori emarginati, inquisiti, relegati in un "purgatorio" spesso ai limiti del mobbing? Quando gli attuali vertici, tuttora legittimi nonostante i proclami roboanti del centrodestra aziendale, berlusconiano, sentiranno il dovere, la necessità di consultare quelle centinaia di professionista per ridare loro un ruolo e un futuro che nel passato si identificava con le sorti stesse dell'azienda?
Insieme a quest'opera di risarcimento morale, e non solo, tutto il centrosinistra dovrà porre mano alle leggi di riforma ormai non più rinviabili, come quella per la RAI, il sistema complessivo dei media e il conflitto di interessi. Altrimenti, il rischio è che dopo "l'intesa segreta" che ha consegnato l'Italia della comunicazione per quattro lunghi anni a Berlusconi, con la mostruosa creatura "Raiset", continueremo ad assistere ad una oppressione mediatica guidata dalla stessa regia, che vorrebbe far credere all'opinione pubblica che l'Italia è il peggiore dei mondi possibili, dove esistono "vampiri vestiti da fiamme gialle" che succhiano tasse ovunque, la povertà generalizzata è ormai alle porte, che l'insicurezza personale è minacciata ogni giorno ad ogni angolo della strada dalla presenza di una piccola e laboriosa comunità di immigrati dalla ferocia inarrestabile. E che il sistema politico è minacciato dagli "estremisti rossi di sinistra", oltre che "dai politicanti parrucconi"!
Cambiare il sistema dei media, invece, significa appunto questo: diventare un paese democratico maturo, senza conflitti di interessi e con un servizio pubblico libero, autonomo, trasparente e "voce di tutti gli italiani".
Fonte: Aprileonline
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