lunedì 16 marzo 2009
domenica 15 marzo 2009
"Sinistra e Libertà" si presenta
Il 21 marzo, alle ore 16.00, in Piazza Farnese, a Roma, apertura della campagna elettorale per le Europee.
Vi prenderanno parte anche una serie di testimonial del mondo della cultura, dello spettacolo, della ricerca, simpatizzanti e sostenitori dell'alleanza.
sabato 7 marzo 2009
venerdì 27 febbraio 2009
la Sinistra per l'Europa
A Napoli per la presentazione di La Sinistra Vendola ha detto di aderire pienamente all'appello lanciato da alcuni intellettuali tra i quali Ingrao e Tamburrano ed ha chiesto di ricostruire, "un campo largo dell'opposizione".
"C'è un grande rischio - ha detto in una manifestazione alla Mostra d'Oltremare - dobbiamo riuscire a superare lo sbarramento elettorale e dobbiamo dotarci di risorse".
Al segretario del Pd Franceschini Vendola ricorda che "le minoranze vanno difese" e critica duramente l'emendamento sul rimborso elettorale, elevato oltre la soglia del 2%: "Non si tratta di spendere più soldi ma solo di spartirli tra tutti coloro che partecipano alle elezioni. La casta politica vuole dividerli solo tra chi le vince"
Si stava meglio quando si stava peggio?
Intervista a Matteo Renzi, "l'Obama italiano"...
secondo il Time
mercoledì 18 febbraio 2009
Fai i pacchi e vai in Africa, Veltroncino!
Quando Walter era il "Grande Sindaco" della Capitale guai a criticare una politica che era e rimane un colossale benché effimero monumento di "belusconismo politically correct". Qui dalle immense periferie di cemento tirate su dal granitico patto tra i palazzinari romani e la giunta più glamour d'Italia le cose si sono viste sempre un po' diversamente da come le vedevano gli amici del circolo Pd dei Parioli dove il buon Walter è iscritto e che tornerà a frequentare, forse, da semplice militante.
Pensavamo, allora, che un'amministrazione di sinistra dovesse qualificarsi per un'azione decisa di implementazione dei servizi sociali, per un miglioramento dei mezzi pubblici, per una soluzione alla drammatica emergenza abitativa in una città dove gli affitti di mercato equivalgono grosso modo ad uno stipendio medio mensile della gente cosiddetta "normale". Ma ci spiegavano che questa era una concezione passatista della sinistra a fronte di una più innovativa idea di sviluppo urbano fondata sul solido mix tra il red carpet dell'Auditorium e la "grande pacificazione toponomastica" per la quale definire "picchiatore fascista" un picchiatore fascista era considerato un gesto un po' retrò e poco elegante.
Fatto sta che sempre dalle stesse periferie ora sommerse dalle croci celtiche e dalle svastiche dipinte ovunque, rimaniamo abbastanza convinti delle nostre idee, anche e soprattutto dopo aver visto le sorti di un Partito democratico plasmato ad immagine e...immagine e immagine del proprio leader.
Qual era, qual è l'idea di fondo, il disegno strategico di medio-lungo periodo che ha in mente il Pd? Quale blocco sociale è in grado di contrapporre alla poderosa unione degli "abbienti" e degli "spaventati" (per usare una efficace espressione di Pierfranco Pellizzetti) plasmata dall'apparentemente invincibile "principale esponente dello schieramento a noi avverso"? Sono domande che restano sul tappeto anche dopo l'uscita di scena di Walter Veltroni. Forse partire dai quei quattro milioni di lavoratori precari che sono privati di un progetto di vita minimamente programmabile, di un'autonarrazione biografica ed esistenziale che va molto al di là della semplice dimensione materiale, sarebbe un primo passo. A patto di mettere da parte le solite filastrocche su "ammortizzatori sociali" e compagnia bella che possono stare in bocca a chiunque. A patto di fare proposte sulle quali, per esempio, un Maurizio Sacconi potrebbe non riconoscersi perché chiaramente di sinistra. Una volta si sarebbe parlato di un "punto di vista di classe". Ma questo, lo ammettiamo, sarebbe davvero troppo per il Pd.
martedì 17 febbraio 2009
4 anni e 6 mesi all'avv. inglese David Mills
Rogo Thyssen. Un operaio racconta: "scarsa manutenzione ed ispezioni annunciate"
"C'erano incendi tutti i giorni" aggiunge l'operaio "In prima battuta dovevamo intervenire noi, poi chiamare la squadra di emergenza, composta da due colleghi"."
Poi descrive la notte della strage: "Non si vedeva niente. C'erano fiamme alte fino al soffitto, fumo. E si sentiva odore di carne bruciata". Questa la scena che Fabio Simonetta ricostruisce davanti ai giudici della Corte d'Assise di Torino testimoniando al processo contro i sei dirigenti della multinazionale dell'acciaio.
"Ho visto - ha detto - Roberto Scola e Angelo Laurino straziati dalle fiamme, in uno stato orribile. Scola urlava 'portatemi via'. Provai a telefonare all'infermeria, poi cercai
di spegnere l'incendio: afferrai la manichetta di un idrante ma si staccò'. Simonetta fu tra coloro che portò fuori dal locale Scola e Laurino ("urlavano dal dolore, avevo paura a toccarli, non dimentichero' mai e sono in preda ai sensi di colpa perche' volevo fare di piu"') e poi, essendo rimasto intossicato dal fumo, venne portato a sua volta in ospedale, dove gli applicarono una maschera d'ossigeno per un'intera giornata.
Quanto alle condizioni di lavoro, Simonetta ha detto che "c'erano incendi tutti i giorni". "In prima battuta dovevamo intervenire noi, poi chiamare la squadra di emergenza, composta da due colleghi".
"Eravamo orgogliosi che nostro figlio fosse andato a lavorare in quella fabbrica, in cui mio marito ha lavorato per 40 anni. Dal giorno della tragedia invece ci sentiamo in colpa e non ci sopportiamo nemmeno piu' tra noi".
E' la drammatica testimonianza di Grazia Cascino, la mamma di Rosario Rodino'.
"Voglio sapere perche' mio figlio e' morto - ha detto Grazia Cascino con la voce rotta
dal pianto, rispondendo alle domande degli avvocati - L'unica cosa che voglio e' che mi ridiate mio figlio indietro. Sono sempre li' a casa che aspetto di sentire che con le chiavi apra la porta ed entri". Oltre a Grazia Cascino, hanno gia' deposto Luigi Santino, fratello di Bruno Santino e Concetta Rodino', sorella di Rosario.
venerdì 13 febbraio 2009
Gasparri: "Santoro e Vauro sciacalli"
martedì 10 febbraio 2009
domenica 8 febbraio 2009
ATTACCO ALLA COSTITUZIONE. ORA BASTA!
E non solo: il presidente del Consiglio sottolinea come siano da chiarire le competenze relative ai decreti legge: «Credo che la responsabilità di un giudizio sulla necessità e l'urgenza di un provvedimento spetti al governo e che il giudizio di questo fatto sia da attribuire al parlamento che esamina l'esistenza dei requisiti nella prima commissione (Affari costituzionali n.d.r.) come primo atto». A chi spetta questo chiarimento? Alla Corte costituziuonale? Berlusconi non risponde serrandosi con la mano le labbra. «Andremo a fare delle riforme - aggiunge però - e può darsi che andremo anche a chiarire il dettato della Carta costituzionale».
Il Cavaliere sottolinea come senza decreti legge i provvedimenti si perdano nei «meandri del Parlamento» e cita come esempio un provvedimento del ministero delle Pari opportunità. Quanto ai regolamenti parlamentari aggiunge «sono antiquati». Come potrà avvenire questo chiarimento: «Adesso ci riflettiamo - risponde il premier e vedremo se dovremo arrivare a quelle riforme della Carta costituzionale che sono necessarie».
Nel giro di 48 ore, usando come spunto una vicenda di povere anime, ha attaccato alla gola le principali istituzioni repubblicane: l’indipendenza e sovranità della magistratura, il ruolo di garanzia della presidenza della repubblica e, infine, la costituzione, rea, a suo dire, di essere stata ispirata a quella dell’Unione Sovietica. In pratica il presidente continua ad agitare il cadavere putrefatto di uno spauracchio la cui morte è stata certificata più di dieci anni fa senza che nessuno gli scoppi a ridere in faccia.
In questa azione di lucido delirio, il cui fine a questo punto potrebbe essere una revisione globale della costituzione, la restaurazione della monarchia e l’inizio di una dinastia designando come successore Piersilvio, il Reggente non è solo.
Da una parte c’è il nutrito stuolo di pallidi servi di cui si è circondato. Gente la cui mancanza di spina dorsale e lo stomaco mostruosamente dilatato ha imposto, nella vita, il ruolo di tappeto accondiscendente, dall’altra dalla prodigiosa ed intelligente informazione italiana che continua a tener mischiate nella stessa casseruola due cose mostruosamente diverse: una questione etica dolorosissima e l’ansia patologica di affermazione di un uomo i cui problemi di accettazione di se stesso sono diventati il fulcro della recente storia politica italiana.
Mi rendo perfettamente conto che per i media italiani abituati a rimpinzare i pomeriggi televisivi con storie lacrimosissime e le serate del sabato sera con commoventi ricongiunzioni familiari, una tragedia vera ed immensa come quella alla quale è stata condannata la famiglia Englaro appare come un’enorme torta di cioccolato e panna, ma la disinformazione operata ponendola in congiunzione con gli oscuri piani del vecchio tesserato P2 è un atto di colpevole complicità.
A questo punto è palese che se si vuole difendere il residuo di democrazia che rimane in Italia bisogna reimpossesarsi della costituzione e farla vivere nuovamente. Ribellarsi in maniera civile e non violenta allo scippo di diritti del quale siamo stati tutti vittima partendo dal diritto di voto, decapitato con l’abolizione delle preferenze, e passando poi al diritto alla dignità del lavoro che con l’istituzionalizzazione del cottimo passato per flessibilità ha esposto milioni di italiani al ricatto micidiale della povertà e dell’incertezza. Due diritti fortemente garantiti dalla nostra costituzione sovietica. E ci credo che a Silvio Ceronettinon piaccia.
Aldilà di ogni se e di ogni ma, io credo che sia giunto il momento di appoggiare in ogni modo le formazioni politiche che pongano chiaramente questi due problemi al centro della loro azione diffidando di chi fa politica a base di camomilla e biscottini alla farina di riso e di chi cavalca l’onda dell’indignazione popolare per proporre fumose politiche populiste.
mentecritica.net
martedì 27 gennaio 2009
Pariti per un nuovo soggetto politico
Il “Movimento per la Sinistra”, ha detto chiaramente Vendola concludendo il seminario dell'ara riunito sabato e domenica, accetta anche la sfida delle prossime elezioni europee, sapendo però che queste costituiscono un''occasione da cogliere ma anche il rischio di una strozzatura. La sua ipotesi è affrontare le urne europee con una lista unitaria, aperta a tutti i soggetti che intendono concorrere alla costruzione del futuro soggetto della Sinistra. Non ancora un partito, non più un semplice cartello elettorale.
A differenza dell'area “Rps” il nuovo movimento non scommette più sulla possibilità, dimostratasi inesistente nei mesi successivi al congresso, di tenersi a cavallo tra l'internità e l'esternità al Prc, un'area del tutto autonoma ma con ancora in tasca le tessere di Rifondazione. Al contrario, l'atto fondativo del movimento è stata proprio l'uscita dal Prc di Vendola e con lui di quasi tutto il vecchio gruppo dirigente bertinottiano, da Franco Giordano a Gennaro Migliore, Patrizia Sentinelli, Francesco Ferrara, Alfonso Gianni. Lo stesso Fausto Bertinotti ha confermato la decisione di non rinnovare la tessera del Prc.
Non si è trattato tuttavia di una scissione nel senso classico del termine. L'emorragia era iniziata già da parecchio, senza bisogno di un ordine formale dei dirigenti, e proseguirà nelle prossime settimane. Molti militanti e dirigenti, nei loro interventi dal palco di Chianciano hanno infatti dichiarato di essere sì convinti della impossibilità di proseguire ulteriormente l'esperienza nel Prc, ma di voler scegliere in piena autonomia, nei rispettivi territori, tempi e modi dell'abbandono.
L'addio al Prc - spiegato, giustificato, motivato, descritto con rabbia o con rimpianto - è stato il tema ricorrente di quasi tutti gli interventi nella due giorni di Chianciano. Era inevitabile che trovasse meno spazio, al momento di tagliare i ponti, lo sforzo per delineare da subito i tratti del futuro soggetto. Ma nelle conclusioni di Vendola, nell'intervento dell'ex segretario Giordano e nelle parole di parecchi militanti, soprattutto quelli più giovani, è almeno apparsa chiaramente la necessità, anzi l'obbligo, di non misurarsi da subito anche con il nodo della struttura del prossimo soggetto, quella che in gergo politico si usa definire la “forma partito”. E dovrà essere una struttura quanto più democratica possibile, tale da affidare alle primarie il compito di indicare non solo le candidature nelle varie prove elettorale ma anche quello di selezionare i gruppi dirigenti e, infine di avere l'ultima parola almeno nelle scelte dirimenti.
Se non riuscirà a occupare l'immenso spazio vuoto tra il moderatismo del Pd e l'estremismo parolaio della attuale “sinistra radicale”, se non riuscirà a partorire un'analisi compiuta del capitalismo contemporaneo e delle forme di contrapposizione con cui lo si può combattere, il nuovo soggetto della sinistra nascerà decrepito. Se non riuscirà, come ha più volte ripetuto Vendola, a ricomporre l'insano antagonismo novecentesco tra sinistra (in particolare comunista) e libertà, il futuro soggetto sarà sin dai suoi primi passi succube del passato. Ma se non metterà in testa alla sua agenda il capovolgimento della struttura piramidale e gerarchica che affligge oggi tutte le formazioni della sinistra, non arriverà neppure a nascere.
domenica 25 gennaio 2009
RPS: Non abbiamo fondato un nuovo partito
"La sigla Rps, Rifondazione per la Sinistra, indica solo -prosegue il comunicato- l'area di Rifondazione comunista che aveva raccolto, dopo il congresso di luglio, gli aderenti alla mozione 2 e che ha organizzato il seminario in corso a Chianciano. Un'esperienza che si conclude con questo seminario, così come conclusa è per noi l'apparetenenza al Prc".
"Di fronte a noi non c'è la costituzione di un nuovo partitino, ma la prosecuzione del processo costituente che dovrà portare, seguendo un percorso quanto più democratico e partecipato possibile, alla formazione del nuvo soggetto unitario della sinistra. Una delle tappe di questo processo costituente -conclude la nota- sarà senza dubbio rappresentata dalle prossime elezioni europee, che devono vedere in campo una lista unitaria aperta a tutte le forze politiche che intendono concorrere alla formazione del nuovo soggetto della sinistra".
sabato 24 gennaio 2009
Un nuovo inizio. O la fine della storia...
“A distanza di pochi mesi noi torniamo a Chianciano, nel luogo in cui la storia di Rifondazione comunista è precipitata dentro un buco nero. Nel breve intervallo di tempo che ci separa dal luglio afoso del congresso del Prc, il mondo ha conosciuto straordinari cambiamenti, un vero passaggio d’epoca ha liquidato tante leggende e superstizioni ideologiche che hanno innervato il racconto egemonico della globalizzazione liberista, si è rotto il livido mappamondo che ruotava sull’asse della teocrazia finanziaria e della guerra infinita, sono esplose in forme spettacolari contraddizioni che dicono di una crisi strutturale del nostro ambiente sociale e del nostro ambiente naturale. Ma, a dispetto di questo vorticoso accumulo di punti di crisi e di accelerazioni della storia umana, tutti noi siamo rimasti come immobili, risucchiati nel gorgo della contesa intestina, prigionieri della deriva populistica e identitaria del nostro partito, sgomenti per la torsione vetero-comunista di una vicenda, quale quella di Rifondazione, che fin dall’inizio e fin dal suo stesso nome si era presentata ed era cresciuta come un cantiere di revisioni culturali e di innovazioni politiche. Siamo stati comunisti non per un bisogno di fedeltà al passato, ma per un bisogno di libertà del presente e del futuro. Siamo comunisti non per replicare, nei secoli dei secoli, una storia codificata, una liturgia monotona, una forma statica che contiene una verità rivelata: ma per liberarci dai fantasmi e dai feticci di un mondo che strumentalizza la vita, mercifica il lavoro, distrugge la socialità. Chi pensa che il comunismo sia una declamazione, un percorso provvidenziale che va solo ripulito dalle ombre dell’eclettismo e del revisionismo, chi lo custodisce come una reliquia e lo offre alla oscura modernità in cui viviamo come una talismano politico, chi lo annuncia come una fede e lo vende a buon prezzo come il pane da spezzare insieme per esorcizzare la paura della crisi: chi fa così merita certamente rispetto, ma agisce la politica come fuoriuscita dalla realtà e come rinuncia alla trasformazione dello stato delle cose. E noi che vogliamo emendarci dalla pratica dell’anatema e del disprezzo, oggi dobbiamo disarmare parole e sentimenti con cui attraversiamo la scena pubblica, anche per evitare che la nitidezza di una battaglia politico-culturale (quella contro il dogmatismo, il settarismo e il minoritarismo) possa essere confusa con una questione di risentimenti e di rendiconti interni al ceto separato della politica. Quel prototipo di comunismo settario e autocelebrativo è stato più volte sconfitto e ridotto alla più insignificante marginalità. Già al tempo delle “Tesi di Lione” e della lotta aspra al bordighismo, ma poi in tutta la titanica fatica dei “quaderni del carcere”, Gramsci restituisce un’immagine del comunismo aliena da qualsivoglia conformismo dogmatico: non una scolastica, non una precettistica, non un catechismo, insomma non un calco ideologico a cui piegare la realtà, ma una ricerca libera e gigantesca sulle radici storiche della sconfitta della rivoluzione in Occidente. Il comunismo come sviluppo di una domanda piuttosto che come reiterazione ossessiva di una risposta preconfezionata. Il comunismo come ricerca e movimento reale piuttosto che come farmacopea o invocazione dottrinaria. E nell’immaginare il Partito come “intellettuale collettivo” - e dunque come soggetto vocato a rompere la separatezza tra “autonomia del politico” e “autonomia del sociale” - gli affidava il compito di essere il “moderno Principe” che promuove la “riforma morale e intellettuale” del Paese: il Principe del Machiavelli era il soggetto politico e istituzionale che cercava con estrema spregiudicatezza di sconfiggere la logica feudale della centrifugazione in tante “piccole patrie” fondate su pretese araldiche o su sussulti localistici, il promotore di un processo di costituzione di un nucleo di moderna statualità fatta di un processo di unificazione territoriale e di omogeneizzazione culturale. Il moderno Principe gramsciano cammina su una grande frattura storico-sociale, quella “questione meridionale” che spiega la natura del capitalismo nostrano e evoca la “debolezza egemonica” della borghesia italiana già al tempo del Risorgimento. In questa prospettiva il partito non è davvero un fine, né tanto meno un predicatore ideologico o una enclave di “uomini nuovi”, bensì è una rete intelligente di lotte ed esperienze che ha senso in quanto organizza, nella società e nei luoghi in cui si produce società, la critica corale delle culture che mistificano e inibiscono la spinta sociale al cambiamento. E, dentro questo fuoco, il partito tesse la tela di un blocco sociale alternativo alla coalizione dominante, alternativo a quella alleanza di ceti speculativi e parassitari che sarà il letto in cui scorrerà il fiume del fascismo. Più tardi, dopo il tempo della clandestinità e della prigionia e dell’esilio, sarà il “partito nuovo” togliattiano a bruciare i residui di una concezione avanguardistico-pedagogica del partito, sarà quella la stagione dell’aderire ad ogni piega della società, e cioè della costruzione plurale e unitaria di movimenti sociali di massa che, nella moderna città industriale come nell’arcaica campagna del latifondo, potessero intrecciare il percorso emancipativo con l’educazione civile alle virtù della libertà. In quella parabola straordinaria, classe e popolo, anticapitalismo e democrazia, sono concetti che vivono in un equilibrio creativo, non dentro architetture ideologiche asfittiche ma come nodi della storia, della società e della vita, nodi da sciogliere nell’agire politico, e in un agire che era innanzitutto pensiero, analisi dei processi materiali, consapevolezza culturale della storia nazionale, orizzonte europeo ed internazionalista del proprio progetto politico. Anche la stampa comunista verrà concepita e governata come una rete di intelligenze e di esperienze intellettuali originali, come lo sviluppo di laboratori e di officine delle idee. Nell’Unità togliattiana si formeranno intere generazioni di giornalisti di razza, non leve di velinari e di agit prop, ma grandi penne del giornalismo d’inchiesta, del giornalismo colto e militante. Sono storie note, quelle che hanno fatto del Partito Comunista Italiano il protagonista fascinoso e popolare di una doppia anomalia: anomalia di un Paese così vitalmente segnato nel suo sviluppo democratico dal ruolo e dall’autorevolezza dei comunisti italiani, anomalia di un partito che si liberava progressivamente della soggezione al campo e alle mitologie dell’Unione Sovietica. Il Pci fu il punto più alto di espansione egemonica della sinistra in Occidente, e fu allo stesso tempo il punto più importante di autocritica del comunismo novecentesco. Fino alle parole nitide e per certi versi definitive di Enrico Berlinguer a proposito di “esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”. Questa vicenda, che ovviamente fu arricchita (ma spesso anche impoverita) dalle esperienze delle sinistre critiche e dei gruppi extra-parlamentari, non può che essere il nostro punto di partenza: e infatti di lì partimmo per reagire alla prospettiva della liquidazione del Pci dopo la svolta della Bolognina. Non per revisionare le revisioni, non per abiurare dalle abiure, ma per dire di una cultura politica che era comunista nella misura in cui faceva della lotta contro ogni principio totalitario e contro ogni pratica di alienazione la propria ragione di vita. Noi difendemmo il Pci perché consideravamo ingiusto seppellirlo sotto le macerie del Muro di Berlino: ma non stavamo difendendo quel maledetto muro, la sua monumentale vergogna, il suo recintare sotto un controllo ferreo e cupo “le vite degli altri” (per citare il titolo di un bellissimo e doloroso film sulla Germania Est). Noi difendemmo il partito che, dentro un processo lungo e complesso, aveva segnato la rottura del “campo” comunista, che aveva con quello strappo dall’Urss riaperto e non chiuso la “questione comunista” come critica del modello di sviluppo e denuncia della società bi-fronte dello spreco e della penuria. Il socialismo reale, che pure a noi appariva così clamorosamente irreale, si era schiantato, squagliato rapidamente come neve al sole, e il mappamondo aveva perduto uno dei suoi punti cardinali, l’Est. Quel mondo era crepato non per un eccesso di comunismo, ma per un clamoroso deficit di comunismo: perché era una costellazione di regimi autocratici, perché le libertà fondamentali erano conculcate, perché il circuito dell’informazione era dominato dalla pratica della censura e dalla pedagogia della menzogna, perché il dissenso significava rovina e morte, perché il lavoro era alienato e alienante, l’economia dominata dai burocrati, la promessa della “socializzazione dei mezzi di produzione” fraintesa e confusa con quello che l’estrema sinistra chiamò il “capitalismo monopolistico di Stato” che aveva ridotto ad una cifra grottesca i sogni dell’Ottobre. Dentro questo solco ha camminato la nostra Rifondazione, fino all’approdo teoricamente e politicamente più impegnativo: quello dell’assunzione del paradigma della nonviolenza. Un salto anche di linguaggio, l’ingresso in un universo semantico e simbolico ricco e stimolante: non la rinuncia alla critica di classe, ma il suo esodo dalle antiche mitologie della conquista del Palazzo d’Inverno, la sua capacità di contaminarsi con la critica radicale dei meccanismi di produzione della violenza e della violenza che si fa potere: la critica del patriarcato e del vocabolario maschile che nomina ed eternizza un mondo mutilato della libertà femminile; la critica di un modello di crescita economica che usa la biosfera come una discarica, che dissipa ogni giorno un segmento di quel patrimonio di biodiversità e di multiculturalità che costituisce la ricchezza della vita e il senso della vita. La viva vita, non quella ideologizzata da molti pulpiti più o meno sinceri. La vita vera di cui dobbiamo garantire, per tutti e per ciascuno, per tutte e per ciascuna, l’assoluta inviolabilità, la sua irriducibilità, per chiunque, a corpo contundente, a strumento, a oggetto, a cosa da usare e di cui abusare: quanti album di foto sui corpi dei nemici uccisi, uccisi e poi straziati, straziati ed esibiti come trofei, ci sono nei depositi remoti della nostra psicologia sociale? Quanto bisogno, ancora oggi, tutti noi abbiamo di dotarci di un nemico capace di darci identità, e più lo odiamo più sentiamo di possedere consistenza? e ucciderlo simbolicamente e spesso anche materialmente coincide con la nostra massima auto-affermazione: negare la vita a chi è il mio altrove, mi dà la tranquillità di stare dove sto e di essere ciò che sono. Se uccido un infedele dimostro quanto sia cruciale coltivare fedeltà. E dunque la vita: non il terreno di un dominio etico-ideologico ma la vita determinata delle persone vive. Non l’imperio sulla giurisdizione della vita, sul chi decide del suo inizio e della sua fine, con questa finta morale che è confessionale e si camuffa da morale naturale: cosa ci sia di naturale nell’accanimento neppure terapeutico sul corpo-simbolo di Eluana è difficile dirlo, così come è difficile capire dove sia emigrata la coscienza laica di un Paese in cui bisogna aprire una contesa politica per eseguire una sentenza inappellabile pronunciata da una corte suprema, così come è difficile capire dove sia precipitata quella pietas cristiana che pare soppiantata da un “magistero della paura” che riporta la Chiesa a prima del Concilio e che piuttosto che annunciare una “buona novella” si specializza negli anatemi contro l’umanità peccatrice.
La viva vita, insomma. Quella che ci interroga senza sosta, dopo Auschwitz e Hiroshima, dopo l’organizzazione scientifica dell’industria dello sterminio di massa, dopo i virtuosismi burocratici delle deportazioni e delle rieducazioni, dopo i gulag e le fosse comuni, dopo le guerre calde e quella fredda, dopo le guerre a bassa intensità e le macellerie sudamericane, dopo le guerre etniche e quelle religiose e quelle tribali e quelle telecomandate come videogames, dopo gli hotel Ruanda; e ora, durante questa lunga lenta oscena strage di Gaza, qui dentro il crinale più melmoso, dentro l’orizzonte di onnipotenza e nichilismo che è stato battezzato “guerra infinita”, la vita vera che ci chiede pensieri e vocaboli impegnativi ed inauditi che possano ergersi come una soglia fondatrice della civiltà futura, come il cimento di tutta la politica e di tutte le culture chiamate a disegnare le mappe di un mondo nuovo. La vita altrui che è il paradigma del limite nostro, violando il quale romperemmo il senso stesso della nostra vita e di tutta la vita.
E se questi sono i compiti, se questa è la semina a cui dobbiamo dedicare il nostro impegno, se queste sono le sfide su cui ridefinire il senso e il modo dell’agire politico, a che vale resistere in una trincea che sentiamo arretrata, persistere in una appartenenza che ci appare vieppiù fuori luogo e fuori tempo? Se questo è il cimento che più ci intriga e più ci motiva, come possiamo mettere tra parentesi la piccola storia ignobile del processo sommario e della condanna di un collettivo redazionale e di un direttore che hanno fatto di Liberazione un giornale vivo, un luogo della libertà e delle idee, piuttosto che un morto repertorio della linea del gruppo dirigente del Partito? Sansonetti non era comunista al punto giusto oppure non lo era affatto? E allora? Era stato indicato lui, dopo l’esperienza formidabile e altrettanto libera del nostro caro indimenticabile Sandro Curzi, proprio per questo: perché Liberazione non fosse uno specchio del partito, ma una finestra aperta sul mondo.
Abbiamo dinanzi diversi passaggi elettorali. Il primo dei quali riguarda la Sardegna, regione nella quale i nostri compagni hanno saputo accompagnare con intelligenza e stimolare in modo creativo l’esperienza innovativa della presidenza Soru: che ha interpretato l’autonomismo sardo come una prospettiva europea e non come ripiegamento e chiusura, e che ha difeso la bellezza e la ricchezza della sua natura e dei suoi delicatissimi eco-sistemi dando una lezione di dignità e di moralità ad un Paese che ha fatto anche del patrimonio dello Stato una S.P.A. Nelle città e nelle province in cui si vota è necessario sviluppare il massimo sforzo unitario della sinistra, di una nuova sinistra capace di guardare anche le radici di una crisi delle grandi città che è anche crisi nei nostri modelli amministrativi. Il riformismo municipale mostra le corde, si tratta di tornare ad avere una lettura critica dello sviluppo cittadino e metropolitano, ma poi si tratta di realizzare un progetto globale di riqualificazione delle periferie e di rigenerazione urbana. Ma nel governo dei territori deve tornare con forza, come sfida della democrazia partecipata e della cittadinanza attiva, la “questione morale”: depurata dalle scorie della giustizia-spettacolo e da quella retorica qualunquista che nella generalizzazione della denuncia finisce per mortificare gli onesti piuttosto che stigmatizzare i corrotti, bonificata da pulsioni da far west, essa vive come rottura della barriera architettonica e sociale che separa, tavolta in modo feroce, i pubblici poteri dalle domande della vita quotidiana. Vive di trasparenza di tutti i procedimenti amministrativi, vive di drastica semplificazione burocratica, vive di circolazione delle informazioni, vive di controllo organizzato sulle decisioni di governo, vive di netta separazione tra politica e affari, vive di responsabilità condivise e di qualità delle classi dirigenti. E poi c’è la consultazione per il rinnovo del Parlamento Europeo: innanzitutto una occasione per fare il punto sul processo di allargamento dell’Unione, per tracciare un bilancio sul ruolo politico dell’Europa nello scacchiere internazionale, ma anche una occasione decisiva per sottolineare gli impegni mancati, le pagine bianche, i peccati di omissione di una Europa incapace di autonomia dagli Stati Uniti e povera di iniziativa politico-diplomatica come si è visto nei giorni della guerra a Gaza. Per noi anche uno stimolo a rinsaldare la presenza dentro “Sinistra europea” e forse la costruzione di una tappa nel processo di avvicinamento alla costituente del nuovo soggetto della sinistra. Che ci sia, in questa contesa, una sinistra unitaria, un pezzo di un cammino assai più lungo e complesso, può essere un fatto nuovo per il popolo della sinistra: naturalmente sappiamo che continua il lavoro bipartisan per introdurre un robusto sbarramento elettorale: serve a compiere il lavoro sporco, è la proiezione di quello sbarramento sociale che vuole marginalizzare le culture critiche e le alternative di società. A condizione che non sia la confezione di un partitino, ma solo un passaggio in una traiettoria di accumulo di forze e di esperienze. A condizione che non appaia, così come fu per l’arcobaleno, un patto di vertice e un manufatto del politicismo dei ceti politici. Serve che tutti e tutte ci facciamo carico, nel dare avvio al movimento per la sinistra, di una domanda di partecipazione diretta alle decisioni della politica, della nostra politica. La democrazia per noi non può essere né apparire una questione procedurale. Proviamo a sfidare noi stessi, a dire che nella rete che stiamo per tessere varrà sempre e comunque il principio di “una testa un voto”, che le primarie possono essere la regola e non l’eccezione della vita interna, che si vota non per finta ma per davvero. E che la democrazia è attraversamento dei territori, radicamento nei territorio, interrelazioni tra territori. Io penso ad una sinistra federale, a cantieri aperti, plurali, curiosi, includenti, che abitino nei territori. Penso ad una sinistra capace di presentarsi come una profezia laica, l’annuncio di tempi nuovi. Obama ha già cambiato il mondo, perché ha introdotto nell’immagine di politica che comunica, la suggestione ontologica del cambiamento, perché nel più ufficiale dei suoi discorsi si è sentito il congedo liberatorio dall’epoca dell’America texana delle sette evangeliche e dei petrolieri, dei gangster della speculazione borsistica e della bolla immobiliare, perché ha nominato la violenza razzista del mondo in cui è nato e cresciuto, perché ha esibito con naturalezza le prerogative di una democrazia che rifiuta qualsiasi torsione confessionale, perché ha delineato un intervento pubblico che mira a salvare l’economia reale piuttosto che la finanza creativa che ha ubriacato il mondo. Insomma, che la politica torni a essere pensiero, conoscenza, inchiesta, passione condivisa, reciproco affidamento, indignazione civile, prefigurazione di un mondo liberato.
Io le cose che ho detto, con sincerità e poca organicità, le ho dette per offrire una spiegazione del mio congedo dal mio partito. Non provo acrimonia verso Ferrero e il suo gruppo dirigente. Sono sereno perché faccio ciò che sento sia giusto fare. Rifondazione è stata la mia casa e questo addio non è un partire indolore. Voglio augurare ogni successo al mio ex partito. E a noi, a quelli di noi che condivideranno la mia scelta, voglio dire che non dobbiamo sentirci avversari di Rifondazione. E soprattutto ai compagni e alle compagne della nostra area che scelgono di continuare la propria lotta dentro al partito voglio esprimere gratitudine: per aver condiviso una bella battaglia, e perché sono certo che continueranno a battersi perché nasca una sinistra nuova. Una sinistra del lavoro e delle libertà. Che ingaggi un molecolare corpo a corpo contro la paura e contro la solitudine. Che ritrovi l’ago e il filo con cui cucire nuovi legami sociali, pezzi di comunità, movimenti che fanno politica coinvolgendo e accogliendo. Una politica che allunga i propri pensieri oltre lo spazio del presente. Una politica che ci aiuti a spartire il dolore e la gioia, che ci rispetti nella nostra fragilità e nella nostra unicità, che non ci trasformi in giudici sommari e in boia delle diversità, che non sia pensata e gestita al maschile, che non accetti barriere gerarchiche, che non escluda chi è diversamente abile, che non giudichi nessuno per la sua fede o per il suo orientamento sessuale, che non cerchi nemici. Una politica gentile, capace di ascoltare l’avversario, forte solo delle proprie idee e non forte di servizi d’ordine, una politica che cerca le persone in carne e ossa piuttosto che cercare il pubblico. Una politica che apre la questione della libertà in ogni millimetro di organizzazione sociale, a partire dal luogo di lavoro. Una politica che annuncia non il nostro primato ideologico ma il nostro amore per la terra e per la vita, che annuncia speranza, che si fa popolo, che ci dà il coraggio di osare una nuova avventura, un nuovo inizio, un altro partire. Auguri a tutti e a tutte.”
Parola di First lady
Nell'intervista la Lario spende qualche parola anche sul segretario del Pd, Walter Veltroni. «Mi era piaciuto il discorso che aveva fatto a Torino, ma adesso tutto questo mi sembra perduto» dice la first lady, affermando circa la futura leadership del Partito democratico che ci vorrebbe «una figura nuova, giovane, capace di diventare leader». In ogni caso, aggiunge la Lario, «mio marito governerà altri dieci anni». Sui giovani italiani, Veronica Lario riconosce che «se si guadagnano 500 euro al mese non c'è una speranza» e conclude: «Li hanno chiamati bamboccioni, ma come fanno senza soldi?».
venerdì 23 gennaio 2009
Succede a Sinistra
"Care compagne, cari compagni
ho deciso di lasciare il partito della Rifondazione Comunista. Lo considero una casa snaturata e per questo mi dedicherò a ricostruire una sinistra curiosa del mondo che cambia, all’altezza delle sfide del tempo presente, fatta di sentimenti buoni, di capacità di stare nella realtà, di conoscere i territori e i luoghi di lavoro.
Parlo per me, per il mio sentire, per la mia idea di politica. Non chiedo quindi un reclutamento, una leva militare. Ognuno e ognuna farà i conti con la propria coscienza. Lo spirito che mi muove non vuole determinare rotture ma contaminazioni virtuose: è tempo di elaborare un pensiero forte, di fronte a un mondo attraversato dalla crisi economica e dalla crisi ambientale, per presentarci non come portatori di vecchie mitologie ma come ricercatori di futuro. Dalla settimana prossima il mio cervello e il mio cuore, insieme a quelli di tante e di tanti, avrà solo un assillo: ricostruire per l’Italia e per l’Europa una grande sinistra di popolo, una grande sinistra per il futuro."
mercoledì 21 gennaio 2009
martedì 20 gennaio 2009
Salento: presentazione dell'associazione per la Sinistra
Giovedì 22 Gennaio 2009 alle ore 11.30 presso la libreria Ergot di Lecce si terrà la conferenza stampa di presentazione dell'associazione Per la Sinistra di Lecce e del Salento.
Parteciperanno esponenti nazionali e locali di Rifondazione per la Sinistra, Sinistra democratica, dell'associazione Unire la Sinistra e delle altre associazioni e movimenti impegnati nella costruzione del soggetto unitario della sinistra.
Appello "per la Sinistra" nel Salento
La destra non ha vinto solo nelle urne ma anche nelle menti, nell’immaginario e in una società impaurita da un nemico ad arte costruito e da una globalizzazione che porta a riva le sue nefandezze. Davanti a questa mutazione antropologica, in uno scenario di crisi della sinistra che tracima i confini nazionali, vogliamo porci la sfida della ricostruzione, restituire dignità e senso all’essere di sinistra. Rifuggendo l’afasia di chi, a sinistra, ha rotto con la storia del movimento operaio o di chi, sempre a sinistra, vive di pulsioni identitarie e autoreferenziali. Vogliamo coniugare innovazione politico culturale e progetti autorevoli, alla ricerca di un’altra speranza, che significa prospettiva e condivisione, non congiuntura e rassicurazione, che significa intendere la politica come inchiesta sulle cose della vita.
Per la Sinistra approda a Lecce e nella sua provincia. A tutte e a tutti coloro che vogliono tenere vivo un punto di vista di sinistra per dare gambe e cuore alla sinistra del 21° secolo chiediamo di fare la loro preziosa parte.
Per la Sinistra – Lecce
Email: perlasinistra.lecce@libero.it
Sito web nazionale: www.associazioneperlasinistra.it
lunedì 19 gennaio 2009
Berlusconi: un astrologa mi attacca in tv
L'astrologa in questione è Margherita Hack.
Sulla tv nazionale c'è una "volontà di colpire chi si impegna allo stremo per il bene del paese anche fra gli esponenti della sinistra che si impegnano per questo; una volontà che non si vede in nessuna tv nazionale di nessun paese civile al mondo". E' l'attacco del premier Silvio Berlusconi alla tv nel corso di un comizio a Nuoro. "Quando vado sulla tv nazionale in seconda serata - ha proseguito - mi bastano 5 minuti per sentire qualcosa contro di me: l'altra sera c'era addirittura un'astrologa che mi attaccava".
sabato 17 gennaio 2009
Del cerchiobottismo...
Michele Santoro è persona educata. Ha salutato con un “arrivederci” di sufficienza la singolare sfuriata di Lucia Annunziata, che, nel corso dell’ultima puntata di Anno Zero, di fronte alle “faziossime” immagini proposte dalla redazione del programma, si è indispettita e sdegnata ha lasciato lo studio. Col solo argomento del politically correct. Il cerchiobottismo eretto a religione di Stato non può sopportare la verità: a raccontarla bisognerebbe ammettere le responsabilità di una parte e constatare l’entità di una strage che sembra infinita. Ma ormai in Italia giornalismo e verità sono parole che non possono stare nella stessa frase. E questa guerra lo dimostra ancor più chiaramente. L’Annunziata, che conosceva benissimo le conseguenze della sua azione (se non altro perché Berlusconi l’abbandonò nel suo studio qualche tempo fa), ha dimostrato di essere all’altezza del signor Gianni Riotta. Ma cosa insegnano all’Aspen Institute?
giovedì 15 gennaio 2009
La Sinistra che non c'è
In studio da Lilli Gruber e Federico Guiglia il segretario del Prc Paolo Ferrero e Fabio Mussi di Sinistra democratica.
mercoledì 14 gennaio 2009
Partigiano o repubblichino non è la stessa cosa!
La norma in esame presso la IV commissione difesa, pretende di equiparare partigiani, militari e deportati ai repubblichini di Salò, per il conferimento dell’Onorificenza dell’Ordine presieduto dal Capo dello Stato, che vedrebbe al suo interno insieme l’Istituto della Resistenza e quello della Repubblica sociale italiana, e la concessione di un assegno vitalizio. Se approvata la legge apre la strada a riconoscere non solo i soldati e gli ufficiali delle quattro divisioni di Salò ma anche quelli che della Guardia nazionale repubblicana, nelle Brigate Nere e nelle bande feroci legate alla RSI che per venti mesi fecero scempi nel territorio occupato dai nazisti. Un oltraggio ai caduti nella lotta di Liberazione.
L’ANPI e tutte le forze politiche, sociali, culturali che si richiamano all’antifascismo e ai valori della Resistenza sanciti nella Costituzione della Repubblica e tutti i cittadini democratici respingono il disegno di legge. Meditate su chi ci governa.
Forse il governo sperava di far passare questa brutta legge utilizzando i mezzi di distrazione di massa, la crisi economica, la guerra a Gaza… ma deve fare i conti con i cittadini e con le forze democratiche.
Sul sito dell’ANPI, una breve rassegna stampa sull’argomento (formato.pdf). Segnalo anche il bello e lineare articolo di Nicola Tranfaglia, deputato e professore di storia d’Europa e giornalismo, su Articolo21. Su Repubblica.it l’ intervista a Giuliano Vassall.
Sul blog ANPI Anpi Rimini una bella intervista a Raimondo Ricci.
Fate tutti qualche cosa, ISCRIVETEVI all’ANPI, qui la sede più vicina (vi ricordo che l’unico requisito è essere antifascisti e condividere i valori della Costituzione), inondate di mail il Parlamento, fischiate Bella ciao dalla finestra, ma fate qualche cosa.
L’iniziativa dell’ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d’Italia è anche fu Facebook, dove trovate anche un interessante intervento di Sonia Risidori, Istituto Storico della Resistenza e dell’età Contemporanea della Provincia di Vicenza “Ettore Gallo”, di cui riporto un brano:
“Al di là di qualsiasi considerazione sulle storie personali dei ragazzi di Salò e sulla pietà per i caduti di tutte le guerre, di qualsiasi guerra, non si può dimenticare che le formazioni partigiane, gli internati militari, le forze regolari del Regno del Sud, tutti i ragazzi impiccati e fucilati che oggi ricordiamo, stavano dalla parte degli alleati, dalla parte della democrazia e della libertà, mentre il fascismo di Salò stava dalla parte di Hitler, del nazismo, dei campi di concentramento: questo resta il dato storico di fondo che nessuno potrà mai cambiare.”
Dall’articolo 2 del progetto di legge: “L’onorificenza è conferita a coloro che hanno prestato servizio militare, per almeno sei mesi, in zona di operazioni, anche a più riprese, nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945 e invalidi, o nelle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, ai combattenti della guerra 1940-1945, ai mutilati ed invalidi della guerra 1940-1945 titolari di pensione di guerra e agli ex prigionieri o internati nei campi di concentramento di prigionia, nonché ai combattenti nelle formazioni dell’esercito nazionale repubblicano durante il biennio 1943-’45”.
Secondo la relazione che accompagna il disegno di legge “la pari dignità di una partecipazione al conflitto di molti combattenti, giovani e meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e imperiale del ventennio, che ritennero onorevole la scelta a difesa del regime ferito e languente”.
martedì 13 gennaio 2009
Il Prc, la Repubblica e un cane (supposto) randagio...
O meglio, dovrebbero essere le regole del gioco che, invece, si fa sempre più sporco. Per esempio mentre ci si fa paladini, giustamente, dall’autonomia dei colleghi, si dimentica la propria. Vengono questi pensieri, brutti e cattivi, leggendo le cronache di un avvenimento che molti giornalisti hanno seguito in diretta. Parliamo della riunione della Direzione del Partito della Rifondazione comunista, ignorata ogni giorno dalle cronache per quello che fa, le iniziative che prende, balza agli onori delle prime pagine quando si tratta di sostituire il direttore del giornale del partito stesso, Liberazione. Certo è un avvenimento. Ma non ci risulta che qualcuno si sia spellato le mani quando è stato sostituito Furio Colombo e poi Antonio Padellaro ne L’Unità con l’ingresso di Concita De Gregorio, già deciso prima che i redattori ne fossero informati. Ma così va il mondo.
Allora abbiamo preso come “campione” La Repubblica, un giornale da cui dovresti sempre aspettarti un’informazione completa per quanto è possibile, oggettiva per quanto ci si riesce. Partiamo dal richiamo in prima pagina che recita: “ Strappo a Rifondazione, Vendola se ne va, licenziato Sansonetti”. Dove risulta che Sansonetti sia stato licenziato? Da nessuna parte, perché nel corso delle cinque e più ore di discussione è stato detto e ridetto che continuerà a lavorare, se lo vorrà, per Liberazione. Così avviene in tanti giornali, dove il cambio del direttore non è un dramma. Si passa alla pagina interna. Titolone: “Il Prc licenzia Sansonetti. Bertinotti e i suoi se ne vanno”. Dove risulta che Bertinotti se ne va? Chi l’ha detto? Per quanto riguarda il supposto licenziamento, una finezza: il giornalista che ha seguito la riunione nell’articolo mette fra virgolette la parola “licenzia”. Ma nel titolo, le vigolette scompaiono e appare che Piero rimane senza posto di lavoro. Ora leggiamo l’articolo. Qualche parola su quanto ha detto Paolo Ferrero per motivare la decisione di cambiare il direttore, ma così…quasi di sfuggita. Poi tutti gli interventi dei “ vendoliani” che si dimettono dalla Direzione. E quelli che restano, invece, e sono la maggioranza hanno parlato? Non se ne fa cenno. Infine una perla. Si dice in gergo che un po’di colore non guasta mai.
E’ vero, ma quando il colore sbava, diventa una patacca. Leggiamo a conclusione della cronaca della giornata: “A un certo punto – è scritto – entra in sala perfino un cane randagio bianco e nero. Guarda, neanche abbaia e se ne va”. Ma davvero? Intanto un cane, come è noto, non gradisce scendere le scale, ripide in particolare, a meno che non sia trascinato. E le scale per accedere alla sala Libertini dove si svolgeva la Direzione sono ripide e, a causa delle pioggia, particolarmente scivolose. Quel cane non era un randagio, ma aveva un padrone. Uno che assisteva alla riunione. Se ne è andato quando è andato via il padrone. Trascinato, perché gli restava difficile salire la scala.
il corsivo di puck su dazebao.org
sabato 10 gennaio 2009
Girotondo
se verrà la guerra, Marcondiro'ndà
sul mare e sulla terra, Marcondiro'ndera
sul mare e sulla terra chi ci salverà?
Ci salverà il soldato che non la vorrà
ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà.
La guerra è già scoppiata, Marcondiro'ndero
la guerra è già scoppiata, chi ci aiuterà.
Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro'ndera
ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà.
Buon Dio è già scappato, dove non si sa
buon Dio se n'è andato, chissà quando ritornerà.
L'aeroplano vola, Marcondiro'ndera
l'aeroplano vola, Marcondiro'ndà.
Se getterà la bomba, Marcondiro'ndero
se getterà la bomba chi ci salverà?
Ci salva l'aviatore che non lo farà
ci salva l'aviatore che la bomba non getterà.
La bomba è già caduta, Marcondiro'ndero
la bomba è già caduta, chi la prenderà?
La prenderanno tutti, Marcondiro'ndera
siam belli o siam brutti, Marcondiro'ndà
Siam grandi o siam piccini li distruggerà
siam furbi o siam cretini li fulminerà.
Ci sono troppe buche, Marcondiro'ndera
ci sono troppe buche, chi le riempirà?
Non potremo più giocare al Marcondiro'ndera
non potremo più giocare al Marcondiro'ndà.
E voi a divertirvi andate un po' più in là
andate a divertirvi dove la guerra non ci sarà.
La guerra è dappertutto, Marcondiro'ndera
la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?
Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori
i boschi e le stagioni con i mille colori.
Di gente, bestie e fiori no, non ce n'è più
viventi siam rimasti noi e nulla più.
La terra è tutta nostra, Marcondiro'ndera
ne faremo una gran giostra, Marcondiro'ndà.
Abbiam tutta la terra Marcondiro'ndera
giocheremo a far la guerra, Marcondiro'ndà...
Girotondo di Fabrizio De Andrè