sabato 6 dicembre 2008

Rogo Thyssen. Un anno e milletré morti dopo...

Nelle lettere dei familiari il dolore ed il ricordo delle sette vittime del rogo
Massimo Numa

All’1,15 del 6 dicembre 2007 scatta l’allarme per un incendio, alle linea 5 dell’acciaieria Thyssen-Krupp. Sette operai, ustionati, muoiono in ospedale, nell’arco di un mese. E’ passato un anno, ma il dolore dei familiari è sempre lo stesso. Furono attimi terribili. Tra i primi ad arrivare, anche due poliziotti del 113, l’ispettore capo Massimo Galasso e l’agente Pietro Di Costa. «Non potrò mai dimenticare - racconta oggi l’ispettore - quella terribile e atroce scena, i vigili del fuoco, la gente del 118, i colleghi dei feriti, noi che cercavamo di aiutare quei poveretti come si poteva, non sapevamo se le lacrime che ci scendevano sul volto erano per il fumo ancora acre o per la commozione».

Le mogli, i figli, i genitori, i familiari, adesso, mentre l’anniversario si avvicina, non vogliono parlare di processi o di polemiche. Chiusi nel loro lutto, quasi spaventati dal clima delle feste imminenti. Nei loro ricordi, molto semplici, nati di getto, senza pensarci su, compaiono alcuni aspetti simili, stranamente condivisi da tutti. Le ultime immagini delle vittime della Thyssen raccontano di uomini «vestiti con le tute da lavoro», impressi nelle memorie di tutti mentre stavano per lasciare le loro case per raggiungere la fabbrica. Ci restano i loro sorrisi, nelle foto e nei ricordi. Quelli non li dimenticheremo mai.

Nel mio cuore non c'è più posto per il Natale
Grazia Rodino, mamma di Rosario. 26 anni

Rosario, figlio mio. Ascolto ancora la tua voce, ti rivedo, come se fosse oggi, adesso, mentre mi racconti che ti hanno cambiato il turno...da due settimane, non eri contento ma eri sempre lo stesso. Io non riesco a non parlare con te di questo, mille e mille volte. Anche adesso, tu sei qui con me, non abbandoni mai i miei pensieri, continui a proteggermi, come se non fosse accaduto nulla. E' tristissimo vivere, senza di te, ogni giorno. Sei un ragazzo serio, lavorare non ti ha mai spaventato. Se ti rivedo, sei vestito come quando andavi in fabbrica, come quando tornavi stanco, nella tua camera tutto è rimasto come allora, ci sono le tue foto e le cose che ami di più.

A noi sapevi stare vicini, ci davi e ci dai ancora forza. A me e a tutti i tuoi familiari che ti hanno sempre nella memoria. Il fatto che tutto sia successo un anno fa, mi riempie ancora di più d'angoscia, il Natale che sta arrivando mi fa precipitare ancora di più nello sconforto. Nel mio cuore di mamma non c'è posto per la festa, senza di te mai più.

I tuoi gesti quotidiani non mi lasceranno mai
Immacolata Schiavone, moglie di Antonio. 36 anni

Penso davvero che la morte non interrompa un legame che è indissolubile, saldo com’è nelle nostre anime.
Il legame che ci univa non s’è spezzato e oggi è eguale a ieri.
Molto spesso ho la sensazione che la nostre vite si siano fermate in quell’attimo, quando c’è stato l’incendio. Ma la memoria, spesso, si concentra su pochi frammenti della nostra vita passata. Non è facile, rievocare tutte le sequenze di una vita in comune, quando tutto scorreva normale, senza traumi, con le solite preoccupazioni.
Non so perché, ma quando penso alle tue ultime immagini, ti ricordo quasi sempre pronto per andare nella fonderia, ecco il mio Antonio che va in fabbrica e che ritorna, secondo un ritmo che allora sembrava non dovesse finire ma che un giorno invece s’è interrotto, lasciandomi sola, prigioniera di questo lutto che non ha un perché e che non avrà mai fine.
Gli stessi gesti, ripetuti chissà quante volte; ho vissuto di questo, nei mesi che sono trascorsi uno dopo l’altro, tu per me non è come se fossi vivo. Sei vivo.

Non dimenticherò mai il tuo sorriso buono
Calogero De Masi, papà di Pino. 26 anni

Mio figlio Pino era un bravissimo ragazzo. La sua è una storia molto breve, racchiusa in un arco di tempo troppo, troppo esiguo, è la storia di un ragazzo che è andato un giorno a lavorare in fabbrica e non è più tornato. Non c’è molto altro da dire. Questi lunghi mesi sono stati un tormento per me, perché, davanti a una fine così atroce, non ci si può rassegnare mai. Mi resta il ricordo del suo sorriso, del suo modo di essere solare, il sorriso di un ragazzo semplice, alla buona. La sua memoria non mi aiuta a ritrovare la pace, a ritrovare la serenità. E' un male che mi scava dentro, ogni giorno che passa è ancora immerso nel buio.

Roberto, sei il cielo dei bimbi
Egle Scola, moglie di Roberto. 32 anni

Non ho le parole, non le trovo. Le ho tutte chiuse dentro. Eravamo sposati da quattro, più due di fidanzamento. Sei anni. Mi manca tanto, sono rimasta sola con i miei bambini che sanno tutto, il loro papà è il cielo e questo, forse, è l'unica cosa certa, la nostra forza, che è quella di andare avanti, come se lui fosse ancora accanto a noi. Sono passata due volte davanti alla fabbrica, solo due perché non ho l'auto e mi hanno accompagnata. Vado al cimitero. La nostra vita è spezzata per sempre e le feste ci rendono ancora più tristi, ancora più disperati nell’anima. Altro non posso dire. Non trovo le parole.

Lotto, ma non c'è pace
Sabrina Laurino, moglie di Angelo. 43 anni

Io sto male, e questo anniversario, se mai, sottolinea il peso che mi porto addosso, la lotta di tutti i giorni che faccio per i miei figli piccoli. Lottare è il termine giusto. Devo crescerli da sola. Insegnare loro il significato di ogni cosa. Loro sanno e non sanno, ma è certo che il loro papà non lo vedranno più. Questo hanno capito. Sono contenta che, quella notte, io che lo accompagnavo a lavorare in auto sempre da sola, ho portato con me pure i bambini. Lo supplicavamo di non andare a lavorare, invece lui decise che sì, bisognava farlo. Ci fermammo a parlare ancora qualche istante, davanti alla fonderia, e spiegai ai piccoli che lo faceva per loro. Noi lo vedemmo attraversare le porte, sono tre, sino all'ultima. Mio figlio mi aveva detto di fermare la macchina perché voleva salutare ancora una volta il suo papà. Lui si voltò, un attimo prima di sparire e fece un saluto e un sorriso.
Da allora vado spesso davanti alla fabbrica, mi fermo davanti ai cancelli e rivivo quegli istanti come in un film, lo vedo di nuovo entrare e aspetto che il turno finisca per dirgli, “dai vieni a casa”. Qualcuno pensa che sia diventata matta, ma non è così. No, la pace non c'è, non l'ho trovata mai, dopo questi mesi. Un anno è passato, un altro passerà e quanti altri ancora. Dovrò lottare sempre.

Mi hanno rubato ogni cosa
Rosetta Marzo, moglie di Rocco. 54 anni

Un anno è passato. Come sto? Io mi sento come una moglie a cui hanno rubato, rapito, il marito. A gennaio 2008 avremmo fatto trent'anni di matrimonio. Mi sono sposata a 19 anni. Adesso che ne ho quasi 50, tutto finito. Eravamo una persona sola. Rocco mi telefonava: "Rosi come va? E i ragazzi?". A casa, anche stanco, giocava ancora con i figli. Eravamo una bella famiglia, davvero. Era un capoturno, non doveva essere sulle linee, ma ha visto i suoi compagni, "i miei figli", diceva, in difficoltà. Ha fatto il suo dovere e anche oltre. Questa è l'eredità di Rocco.

Io me lo sogno ogni notte. Quando è morto, dopo dieci giorni di terribile agonia, mi è comparso: "Rosi, io ce l'ho messa tutta, ho combattuto tanto per tornare". E’ vero. Non l'ho voluto vedere, né io, né i miei figli, non l'ho potuto vestire, accarezzare. Dopo sei giorni la caposala ha avuto pietà e ha sollevato il lenzuolo, era rinchiuso in una culla termica, e gli ho baciato i piedi. E' l'ultimo contatto che ho avuto con lui. Noi lo vogliamo ricordare con il suo sorriso, con la sua decisione di affrontare la vita con uno spirito sempre ottimista. Era consapevole dell’atrocità di quella morte, me ne aveva parlato quando altre persone avevano fatto la stessa fine: "Rosi, è la sorte peggiore”. No, per me non ci sono feste, non c'è gioia. Ho fede, l'ho conservata, è importante averla. Rocco è con me, sempre, ogni istante.

Ti sento sempre con me
Rosa Santino, mamma di Bruno. 26 anni

E' passato un anno ma è come se fosse passato un solo secondo. Che posso dire di te? Che ti rivedo come se fosse allora, quando tornavi a casa stanco dopo il secondo turno, e io ti aspettavo sempre, qualsiasi ore fosse della notte. Ma tu sorridevi sempre, non mi facevi mai pesare la tua fatica, né con me ti mostravi preoccupato o pensieroso. Appena arrivavi a casa, ti toglievi i vestiti da lavoro, venivi in cucina e mi abbracciavi. Non c'è un solo giorno che tu non l'abbia fatto.
Non è vero che te ne sei andato. Per me è come se tu fossi qui, con te parlo e tu mi rispondi, ti sento con me. Noi ti amiamo e questo spiega tutto. Sei un figlio che tutte le mamme sognano di avere. La mia vita senza di te è una sequenza di giorni e di mesi di dolore, di quel dolore che solo una mamma che ha perso un figlio può capire.

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